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martedì 19 marzo 2024

STORIE DELL'ALTRO SECOLO — il Blog di Marcella Bitozzi

Marcella Bitozzi

MARCELLA BITOZZI - Ex funzionario del Comune, con studi rivolti ai numeri, ho una sviscerata passione di scrivere fatti del mio paese e storie di gente che ci ha vissuto. E così, prima che anche l’ultima testimonianza possa andare perduta, mi sono decisa di parlare con le donne, con gli anziani, con coloro che erano bambini o adolescenti nel periodo bellico e fascista. Questo Blog lo dedico a mio padre, che ha vissuto il periodo della guerra, che è stato al fronte non in prima linea perché il suo mestiere di falegname gli aveva permesso di essere utilizzato per altre necessità.

Quando il funerale diventa un lusso

di Marcella Bitozzi - mercoledì 15 gennaio 2020 ore 20:03

Settimo

Maria Vallini 87 anni, Larigiana, ricorda come fosse ieri la morte della sorellina Faustina avvenuta quasi ottant’anni fa.

Maria, secondogenita, è figlia di Emilia che tutti chiamavano Miglina e di Settimo, che si chiamava così perché era il settimo figlio maschio. Dopo di lui un’unica sorella, anch’essa di nome Maria.

Maria è nata a Cevoli, e quando aveva appena tre mesi, babbo Settimo fu ricoverato per un intervento chirurgico, un’ernia, e dovette rimanere in ospedale tantissimo tempo per una brutta setticemia post-operatoria.

Miglina rimase sempre accanto al marito, tanto più che insieme a Settimo erano stati operati altri due pazienti, sempre di ernia, e morirono tutti e due.

Maria fu affidata a zia Maria, sorella di babbo Settimo, e a zio Secondo, che abitavano a Cevoli, che non avevano figli e crescevano la nipote come se fosse sua.

Settimo ce la fece a guarire e a ritornare a casa, ma Maria continuò a vivere dagli zii per gran parte del suo tempo, andando a casa da mamma e babbo, molto raramente.

In casa degli zii abitava un’altra Maria, una parente che non si era mai sposata ed era rimasta a vivere nella famiglia di origine come usava a quei tempi.

Quindi nella stessa casa abitavano tre donne, tutte e tre di nome Maria.

Per distinguerle veniva chiamata Mariina la bimba, Maria la zia e Mariona l’altra Maria, nome scherzoso che sottolineava la mole robusta della donna.

Era il 1942, l’Italia era nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, Mariina aveva appena 10 anni e la sorella Faustina aveva tre anni più di Mariina.

Babbo Settimo era stato richiamato alle armi, era militare a Fornaci di Barga, e Miglina viveva insieme alla figlia Faustina al Quercione.

Faustina si ammalò. La bimba era già stata ammalata per ben due volte e ce l’aveva fatta a guarire.

“Tre malattie aggredirono Faustina nel giro di tre anni. Una prima volta - racconta Mariina - mia sorella ritrovò la piena salute con l’aiuto di una guaritrice, la seconda volta ce la fece a guarire dai reumatismi, ma questa volta sembrava proprio che la malattia volesse sopraffarla”.

Mamma Miglina era sempre più preoccupata e un bel giorno pensò di chiamare a consulto un altro medico, quello del vicino Ponsacco.

Non si poteva fare, Miglina ci provò, era nata a Ponsacco e conosceva il babbo del medico, e il medico rispose di si.

“Si, vengo - le disse - ma non posso farmi vedere, vengo a mezzanotte”.

“Ricordo bene che era il 21 ottobre, un mercoledì - racconta Mariina - perché a Pontedera iniziava l’annuale fiera”.

Il medico arrivò di notte, a piedi da Ponsacco al Quercione passando per i campi e facendosi luce con una candela”.

“Buttate via queste medicine e portate subito questa bimba all’ospedale – sentenziò deciso il medico ponsacchino – è molto grave”.

“La mattina dopo la mia mamma portò mia sorella all’ospedale di Pisa – racconta Mariina – non ricordo con quale mezzo, e per 21 giorni e 21 notti esatti non si mosse dal capezzale di mia sorella, senza aiuti e senza poter contattare nessuno, perché il solo mezzo di comunicazione era la lettera postale e la mia mamma era analfabeta”.

In tutto quel tempo, solo babbo Settimo una o due volte al massimo venne in licenza in bicicletta e ce la fece a portare delle notizie a casa passando prima da Pisa, e pochissime altre volte la zia Maria si recò in ospedale con il pullman del “Carpita” che partiva da Casciana Terme.

Mariina aveva solo dieci anni, dovette ritornare definitivamente alla casa dei suoi genitori, al Quercione, e senza se e senza ma diventare grande in fretta. Aveva una casa sulle spalle, gli animali da accudire, l’orto da curare e solamente le nonne, a giorni alterni, andavano da lei e ci rimanevano per la notte.

Mariina le ricorda bene le due donne, che si lamentavano sempre per i loro acciacchi: nonna Primetta camminava malissimo per una gamba malandata e nonna Clementina era quasi cieca. Così quando erano insieme, la prima diceva “ci avessi le mie gambe” e l’altra rispondeva “ci avessi i miei occhi”.

Intanto Faustina fu ricoverata alla medicina generale di Pisa. Era molto grave, e fin da subito, non era chiaro che la bimba ce l’avrebbe fatta.

Faustina era stata curata per il tifo, ma non era ammalata di tifo, le cure sbagliate furono talmente devastanti che non ci fu proprio niente da fare, e dopo tante sofferenze, il 21 ottobre 1942, morì.

Miglina era venuta a casa il giorno prima e pure babbo Settimo era venuto a casa, con una licenza di un giorno.

Faustina pareva stesse meglio, si pettinò persino da sola, e insistette tanto con mamma Miglina che tornasse a casa almeno per un giorno, per vedere come andavano le cose, per rifocillarsi un po’, per portare notizie ai parenti.

La mattina successiva entrambi i genitori erano inspiegabilmente agitati, come se avvertissero la tragedia che li aveva colpiti.

Mariina ricorda che la sua mamma diceva:“…non vado stamani a Pisa…” e il suo babbo pure diceva “…. non ho voglia di muovermi da qua…”

“L’acqua corre e il sangue tira” con questo antico proverbio Mariina ha descritto l’ansia dei genitori di quella mattina.

Poi alla fine Miglina e Settimo si decisero a lasciare il Quercione, Miglina per l’ospedale e Settimo per Fornaci di Barga.

Miglina, giunta all’ospedale di Pisa, trovò la figlia già morta, e Settimo, prima di andarsene, fu incrociato dalla consegna di un pitaffio.

Mariina non sa dire se fosse un telegramma postale o che cosa, ma si ricorda che conteneva delle parole strane che neanche chi sapeva leggere riusciva a capirne il significato.

Ma babbo Settimo sapeva leggere e scrivere molto bene, dice Mariina, lo lesse e senza dire niente, si mise a piangere sul terrazzino.

Che annunciasse la morte di Faustina? Si, Faustina era morta, proprio il giorno che la sua mamma e il suo babbo erano venuti a casa.

La bimba era morta da sola. Non c’era neanche Guido, il cugino di Settimo che andava a trovarla ogni volta che poteva partendo e tornando a piedi da San Rossore dove era soldato di leva,.

C’era il coprifuoco e l’obbligo di rientrare in Caserma, e Guido era lì quel giorno, ma aveva dovuto lasciare Faustina alle 9 di sera per rientrare in caserma. Faustina morì alle 10.

“Potevano mettermi in galera, ma sarei rimasto con la bimba se avessi immaginato che sarebbe morta poco dopo” disse Guido ai parenti.

Babbo Settimo doveva rientrare a Fornaci di Barga, ma voleva rimanere per il funerale della figlia. Si recò allora dal maresciallo dei carabinieri di Lari per avere il permesso di trattenersi, ma il maresciallo non voleva concederglielo.

C’era la guerra, e i militari dovevano rimanere al loro posto.

Ma alla fine Settimo ce la fece a strappare il permesso al maresciallo, e rimase al Quercione.

“Intanto – dice Mariina – la mia mamma pensava solo a riportare a casa la figlia e seppellirla nel cimitero di paese, ma …. per portarla via dall’ospedale occorrevano dei soldi, tanti soldi, che in casa non c’erano. Si doveva far costruire la cassa funebre, pagare le tasse per attraversare i comuni, insomma un’impresa davvero impossibile per noi, perché in casa non c’era il becco d’un quattrino, proprio niente di niente!”.

All’epoca era il proprietario del podere che teneva tutti i soldi e i contadini dovevano aspettare il momento stabilito per fare i conti e ricevere le loro spettanze.

“Al Quercione si allevavano gli animali, si coltivava l’orto, si raccoglievano le uova, ma il proprietario aveva la meglio su tutto – dice Mariina - e a noi contadini lasciava quel tanto che bastava per mangiare”.

Miglina non voleva rassegnarsi. Andò a piedi a Ponsacco, dove abitava il proprietario del podere, e provò a chiedere a lui i soldi necessari.

Dice Mariina: “i soldi il nostro padrone li aveva, la mia mamma disse che quando aprì il cassetto dello scrittoio ne spuntarono tanti tanti, legatii in mazzette, ma si rifiutò di darceli”.

Mariina non ricorda quale fosse la ragione, semmai una ragione ci fosse stata; forse non era il momento di fare i conti, forse fu pura cattiveria, ma la risposta fu un secco “no”.

Così Miglina con il groppo in gola, rassegnata a lasciare la figlioletta morta in ospedale, non ce la fece a trattenersi e appena sulle scale, si lasciò andare in un dirotto pianto.

“Passò un certo “Ciampalino” di Ponsaco, un procaccia - ricorda Mariina - e vedendo la mia mamma piangere, le domandò il perché”.

“Non ho i soldi – disse Miglina – per portare a casa la mia Faustina morta all’ospedale”.

L’uomo conosceva Miglina fin da piccola e vedendola disperata, non esitò: “Vi darò io i soldi per vostra figlia – disse l’uomo – però non ve li posso regalare, ve li posso solo prestare, e me li dovrete restituire tutti!”.

Parole magiche per Miglina che poteva pagare l’ospedale, i comuni, le piccole spese per il funerale e poteva riportare Faustina a casa.

Vestì sua figlia con il vestito della prima comunione e con i soldi di Ciampalino pagò ogni spesa; ce la fece persino a comprare il velo bianco per adornare il volto della sua Faustina.

La cassa funebre fu costruita con l’occhio, si chiamava così la finestrella di vetro sul volto del corpicino per far vedere per l’ultima volta Faustina alla sorella Mariina e agli altri parenti che non l’avevano più vista.

La bimba era morta di mercoledì, fu sottoposta ad autopsia nonostante il parere contrario dei genitori, e il funerale fu fatto la domenica successiva.

“Mangiavamo lo stretto necessario e spesso ci alzavamo da tavola con la fame – racconta Mariina – pur di restituire i soldi a Ciampalino. Fu davvero un gran giorno, quello in cui potemmo restituire anche gli ultimi spiccioli a chi era stato generoso con noi”.

Nel 1944, al passaggio della guerra, Mariina tornò a vivere dalla zia Maria.

Mamma Miglina le dette il permesso di tornare dalla zia perché quasi ogni mattina, sotto il ponticello vicino a casa, i tedeschi arrivavano con il camion pieno di munizioni e le facevano scoppiare. Gli americani puntualmente, li mitragliavano.

“Erano talmente forti quei rimbombi che facevano tremare tutta la casa, ed io avevo una tale paura che non ce la facevo più neanche a dormire – racconta Mariina – e così tornai dalla zia e ci rimasi fino al mio matrimonio con Silvano”.

Ma la storia non finisce qui.

A Miglina qualche mese dopo la morte di Faustina venne a mancare il ciclo. Pensò ad uno spavento, quello della morte di sua figlia, ed invece si accorse di essere incinta. Purtroppo il bimbo che aveva in grembo non potè mai nascere, Miglina abortì, ma nel 1944, all’età di 46 anni, partorì un’altra Faustina, la nuova sorellina di Mariina.

Tra i ricordi di Mariina, un suo ricovero in ospedale quando aveva 24 anni, già sposata con Silvano e già madre del primo figlio Dario, per un disturbo ai reni. La sua mamma Miglina andò a trovarla e inspiegabilmente svenne sotto gli occhi di tutti. A Mariina avevano assegnato lo stesso letto della sorellina Faustina. Per Miglina fu un duro colpo, le sembrò di tornare indietro negli anni e rivedere Faustina sofferente.

Faustina è stata riesumata qualche anno fa, ed è stata riconosciuta dalla sorella Mariina per quella finestrella di vetro sulla piccola cassa.

Ora riposa in pace nel cimitero di Cevoli, insieme a babbo Settimo che scelse di essere seppellito nel cimitero dove giaceva sua figlia, e a mamma Miglina.

Una storia triste, molto triste, una di quelle storie che sembra impossibile che qualcuno l’abbia vissuta per davvero. Ma è vera, tutta vera, e se chi legge non conosce Mariina, vi assicuro che l’ha raccontata senza piangersi addosso, con serenità, come un momento di routine del periodo di guerra e di quando le famiglie vivevano in assoluta povertà. Una routine, un’assurda routine…. dove anche sostenere le spese per il funerale di una figlia, poteva essere un lusso.

Marcella Bitozzi

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